Mario Nigro è il più a destra, in divisa. Lo sovrasta il padre, in cravatta e capelli neri.
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Il piccolo Mario con la sorella Giovanna
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I primi anni della vita il piccolo mario li trascorse spostandosi al seguito della Famiglia da una
località all’altra della Toscana, alla ricerca di una cattedra di matematica per il Professor Gabriele
Nigro, che la trovò, finalmente, tra il salmastro della città portuale di Livorno.
Antonio Mario (tutti però lo chiamavano abitualmente con il secondo nome, cioè Mario, non era
un bambino sereno, prima di tutto perché non era un bambino sano. Non si trattava né di una malattia
gravemente limitante né di una patologia a evoluzione letale. Era la palatoschisi, una menomazione
congenita che nella maggior parte dei casi, ma non nel suo, era accompagnata dal labbro leporino.
Alla madre fu attribuita la causa della malattia o meglio dell'handicap che accompagnò Mario fin dalla nascita.
Le fandonie più assurde venivano malignamente mormorate. L’ignoranza, fin dalla notte dei tempi, ha sempre
fatto danni. In realtà la madre non c'entrava per niente o meglio non nel senso in cui si credeva. Ma, aimè,
le superstizioni sono dure a morire. Anche in campo medico.
La palatoschisi consiste nella mancata fusione del palato ed è spesso, ma non sempre, associata al labbro
leporino. Le origini del male sono a carattere ereditario. A quei tempi, invece, si pensava fosse dovuta alla
carenza di calcio e dato che la gestazione era avvenuta durante gli anni della guerra, le persone erano malnutrite.
Questo difetto, comunque, deformava la voce del bambino e si faticava a capirlo, almeno finché non ci si faceva
l'orecchio.
Nel frattempo studiava musica, arte verso la quale mostrava notevole predisposizione. Dapprima si
esercitò al pianoforte, poi passò al violino, in
questa perenne inquietudine che lo accompagnò per tutta la sua esistenza. Raccontava, però che, ormai adolescente, un fratello
glielo avesse dapprima rubato e poi distrutto. In ogni caso, già tra una sviolinata e l’altra, amava disegnare,
con qualunque cosa gli capitasse a tiro.
Dei tre fretelli, la sua preferita era in maniera assoluta la femmina, Giovanna.
Forse dal punto di vista affettivo, la vera madre di Mario fu proprio lei, Giovanna,
la sorella maggiore che lo accudiva in tutto, che lo portava per mano, come un
figlio. Giovanna poi, nella vita, ebbe sei figli, tutti eccelletti, ingegneri, psichiatri, legali.
Ma credo che mio padre l'abbia sempre considerata la sua amata sorellone dell'adolescenza, che gli regalò
una scatola di tubetti a olio.
Dapprima erano soltanto paesaggi toscani e marine, dal gusto vagamente
macchiaiolo. Ma questo accadeva quando ormai era del tutto uscito dalla beata infanzia e si avviava averso una sempre
più inquieta adolescenza
Come sovente accade, sono gli altri che provocano un senso di inferiorità nei portatori di una menomazione
e a poco serve che poi li si inciti a non farsene un complesso. Lo spietato mondo infantile dei suoi compagni
di scuola, poi, ovviamente, lo aggrediva. Ma il suo vero nemico fu colei che più d'ogni altro avrebbe dovuto
esserle amico: sua madre. La quale, sentendosi in colpa, o meglio, avvertendo che gli altri la colpevolizzavano,
tendeva comunque a nascondere l'oggetto delle sua presunta colpa. Ogni qualvolta c'erano delle visite, lo
rinchiudeva nella camera più lontana. Il figlio anormale, secondo lei, andava assolutamente occultato agli
occhi maligni della gente, come del resto spesso si usava a quei tempi.
Sua madre, poi, era un tipo forte, una furia della natura. Prepotente e litigiosa quanto basta, fin
dall'infanzia creò un problema di comunicazione, tra lei e il figlio, un problema che si trascinò negli
anni, complicato oltretutto dal fatto che la donna aveva una preferenza smaccata per un altro figliolo,
Romeo, creando crisi di gelosia in tutti gli altri figli ma soprattutto in Mario che più degli altri si
sentiva rifiutato.
In compenso sua madre seppe dargli quell'intransigente rigorosità morale che lo accompagnò per tutta
la vita e che, tra l'altro, riversò anche, invisibilmente, nella sua arte. Mario Nigro combatté contro
tutto e contro tutti, e seppe, nonostante la palatoschisi, dapprima affermarsi all’Università, quindi
nella giungla dell’Arte.
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